venerdì 23 novembre 2012

3. “What did not kill me just made me tougher”

Ferrara 23 Novembre 2012. Notte

Terza scheggia. Un po' più lunga questa, la musica questa volta è Sting, da una splendida canzone che si chiama Ghost Story è sull'album Brand New Day. Sono sempre stato molto legato a questo pezzo, tant'è che me lo porto dietro da dieci anni e passa, in questa canzone c'è un qualcosa di indefinito che ti strega...
Comunque qui salta fuori anche una compagna di università, Anna. Anche questo personaggio era ispirato a qualcuno che avevo conosciuto realmente, ma, come sempre quando dalla realtà si passa alla finzione letteraria, ci sono elementi da modificare, particolari da omettere e altri da inventare ex novo. Si capisce che ci sono dei trascorsi anche se vengono omessi, non viene raccontato il primo incontro tra i due ma si viene buttati direttamente nel mezzo del tutto. 
Tornerà prossimamente Anna? Si probabile, vedremo...
 
 
 
 
 
3. “What did not kill me just made me tougher”



Ancora Martedì 16 Gennaio 2001. Notte.


Era un classico, mi trovavo a scrivere solo quando non era il momento; quando era tardi e quando sarebbe stata ora di andare a dormire. Era sempre così, la fantomatica “ispirazione” dello scrittore era inopportuna, arrivava solo quando ero sotto pressione o quando avrei avuto mille altre cose più importanti da fare piuttosto che stare seduto alla mia scrivania a scrivere su di un foglio bianco con i buchi.
Domani sarebbe stata una giornata pesante. Avevo la seconda parte di un esame di Geografia Politica. Ovviamente ero impreparato.
Era un test a domande aperte, sei per la precisione, ma non riuscivo minimamente ad immaginare che cosa potessero riguardare nello specifico; userò il buon senso e le mie conoscenze pre-assimilate sperando nel meglio. Dovevo totalizzare almeno sette punti che si sarebbero andati a sommare agli undici dalla prima parte dell'esame, solo così sul libretto il voto, minimo, sarebbe stato un 18. Non speravo in niente di più, ogni tanto nella vita bisogna accontentarsi, è segno di maturità raggiunta, così dicono.
Tutta la “vita adulta” è un compromesso, con posizioni estreme non si arriva da nessuna parte, gli estremismi e tutti gli -ismi sono da evitare assolutamente, e se l'ho capito io a ventun'anni, fidatevi è triste ma è inesorabilmente così, e prima lo si capisce meglio è, il “volere tutto e subito” è purtroppo solo un'utopia di un'adolescenza egoista e viziata, non esiste il bianco o il nero, la vita è tutta una sfumatura. Bisogna sempre cercare una via di mezzo, e, credetemi, non è un segno di debolezza o di mancanza di valori e principi, come spesso ci dite, tutt'altro è il viatico per condurre una vita matura, la vera forza di un individuo non la si vede nelle soluzione estreme nell'out-out, nell'andare dritti per la proprio strada, ma bensì nel sacrificare alcune scelte in favore di altre, nel valutare ogni singola possibilità, nello scegliere la strada più difficile nel compromesso. Avere un'idea ed andare avanti con quella, solo con quella, è facile perché ci si auto-convince che è per forza quella giusta, non ci vuole niente a perseguire con il paraocchi solo quella possibilità, il difficile, semmai, arriva quando compaiono i primi dubbi su quella scelta e le prime domande scomode; se le ignori perdi in partenza, devi invece affrontarle, scendere a patti con i tuoi principi e cambiarli se capisci che non possono più avere valore. Dimostriamo di essere intelligenti per una volta nella nostra vita, cazzo.
Forse ero cinico.
Si sicuramente lo ero almeno un po'. Un mia compagna di corso, un' ottima amica, Anna, me lo aveva anche detto giorni prima. Stavamo parlando, o meglio, lei stava parlando, a raffica stile gatling, senza prendere fiato, come è solita fare, ed, io, impotente, ascoltavo. Mi stava raccontando che aveva conosciuto questo ragazzo in biblioteca che sembrava fin troppo gentile nei suoi confronti, pieno di attenzioni. C'erano solo due problemi: lui aveva qualche annetto più di lei ed era fidanzato da almeno quattro anni... Se l'età, a mio giudizio, era un particolare trascurabile, la questione del fidanzamento mi aveva mosso qualcosa dentro.
- Secondo me, ti sta prendendo in giro...- dissi ad Anna, soppesando ogni singola parola in tono lievemente alterato. Stranamente la lasciai per qualche minuto senza parole, una vera impresa, credetemi.
- Perché fai sempre così?- Mi domandò a bruciapelo.
- Così come?
- Si così, mi smonti tutto in quattro e quattr'otto, con due parole, sei proprio cinico.-
Forse aveva ragione lei, ma io la pensavo così. Non volevo si facesse false aspettative. Forse ero nel torto, forse sono malfidente, forse ho preso troppe botte nei denti a soli ventun'anni per permettermi di sperare nella buona fede di determinate persone. Non le dissi niente, non replicai stetti zitto per tutta la mattina. Fino al pomeriggio, almeno.

- E' perché ti voglio bene, e non voglio che tu soffra per un imbecille qualunque...- le dissi poi all'improvviso, davanti ad un caffè, al Caffè del Teatro vicino alla sede dell'università.
- Neanch'io voglio farmi prendere in giro..cosa credi...
- Fosse almeno un imbecille particolare, ma è proprio un idiota qualunque...- continuai con un mezzo sorriso. Anna scoppiò a ridere,risata contagiosa alla quale mi unii.
Cinico.
Chissà. Non so.
Sicuramente reso più resistente da storie passate, storie che hanno cercato di farmi fuori ma mi hanno reso solo più forte. “What did not kill me, just made me tougher” cantava Sting.

Ma, come vi dicevo, qualcosa forse stava per cambiare.
Nel pomeriggio avevo ricevuto un SMS di Cecilia.
Era molto allegra, cioè lo era tramite quello che mi aveva scritto, io me la immaginavo tale. Non so spiegarvelo da quelle parole scritte in piccolo sul display del cellulare, si sprigionava una particolare luce. Mi scriveva per farmi l'in bocca la lupo per l'esame dell'indomani. Dicendomi di non preoccuparmi se non ero preparato, lei, al liceo, non lo era mai eppure se la cavava sempre. Non avevo cuor di dirle che università e liceo erano cose differenti,. perciò mi limitai a leggere. Mi diceva, perciò, di stare allegro, e l'SMS si concludeva con la notizia che tra qualche giorno avrebbe compiuto diciassette anni.
Diciassette.
Ero convinto che andasse per i diciotto, era piccolina in effetti, io ne avrei compiuti ventidue in primavera, ma onestamente non era questo grosso problema.

Per il resto della giornata ci eravamo scambiati squilli vari, ed ora ero qui, seduto, con mille cose che mi frullavano in testa ad un orario improbabile. Provavo uno strano senso di oppressione all'altezza dello sterno, mi mancava anche un po' il fiato, chissà cosa sarà?
Dovevo scaricare la tensione per andarmene a letto tranquillo, decisi di fare qualche flessione, poi ci ripensai e mi misi a disegnare, avevo sempre amato la semplicità di un tratto di matita sul foglio bianco. Riempii fogli per circa un'oretta.
Domani sarebbe stata una giornata particolarmente lunga.
Forse le farò uno squillo prima di addormentarmi, magari Cecilia era ancora sveglia.

martedì 20 novembre 2012

2. And I need a job so I want to be a Paperback Writer

Ferrara, 20-11-2012. Pomeriggio


Seconda scheggia emozionale.
Si prosegue con il diario di viaggio del povero Franz ( nome soggetto a cambiamento) che si barcamena tra università, lavoro e Cecilia.
E' probabile che l'ispirazione per questo secondo capitoletto mi sia venuta da un'esperienza vissuta. D'altra parte si attinge sempre dal proprio bagaglio culturale e personale.
Qui entra in scena anche un ulteriore personaggio il caporedattore Guido di questo giornale locale assolutamente fittizio ( ;) ).
Questo secondo capitoletto è breve ma che ci volete fare, così era il manoscritto che ho ritrovato, anzi mancava pure il titolo del capitolo, ho optato per una vecchia canzone dei Beatles che mi pareva adeguata.



2."And I Need a Job, so I want to be a Paperback Writer"
 
Martedì 16 Gennaio, 2001. Mattina, tarda.


La prima cosa che pensi è: Cos'è tutto questo?
Senza accorgertene hai compiuto vent'anni, qualche mese prima eri ancora un teenager poi d'un tratto BUM ! Sei nella decade dei venti, non più un ragazzo e nemmeno un uomo.
E' un periodo confuso, sono giornate in cui non hai certezza di quello che farai il giorno dopo, con chi sarai, e perché. Ti trovi catapultato in un mondo che corre troppo veloce e tu abituato ai lenti ritmi di un teenager liceale fai fatica a stare al passo. Il bello è che tu non ti senti cambiato, più maturo, ma gli altri ti ci vedono. E' un momento in cui devi scegliere che fare della tua vita. Io da molto prima dei vent'anni ho sempre fortemente voluto essere uno scrittore. Durante il liceo avevo scartato diversi ipotetici lavori, al primo anno volevo fare l'avvocato, solo un folle vorrebbe fermamente fare l'avvocato, ma, sapete, ero contagiato da una mania televisiva per Perry Mason e per Avvocati a Los Angeles. Al terzo anno, invece, volevo essere un affermato disegnatore di fumetti come grandi artisti come Jim Lee, Alan Davis, Todd McFarlane, John Byrne, John Romita Jr, etc. Al quarto ero assolutamente convinto che sarei stato un ottimo medico come il Dr Greene di ER Medici in Prima Linea. Al quinto anno dopo aver scartato lavori come l'agente dell'FBI, il detective privato ed il fotografo capii che sarei stato quello che in fondo avevo sempre voluto essere uno che sapeva trasmettere qualcosa con le parole scritte, un giornalista o uno scrittore, o almeno ci provava.
Ora, come già vi dicevo, un mio libercolo era uscito e stavo lavorando come giornalista part time, per il Ferrara Città, settimanale di notizie ed annunci pubblicitari.
Tutto in regola con i sogni di un ventunenne quasi ventiduenne giusto?
Sbagliato !
Tutto era in movimento, avevo imparato che negli anni dell'università non si è mai fermi, mai stabili, è sempre un correre, un farsi in quattro per rispettare le scadenze, un toccata e fuga. Un sacco di elementi non si incastravano nel mio personale Tetris, primo fra tutti Cecilia.
Ma quel 16 Gennaio 2001, martedì, c'erano altre cose che mi frullavano in testa.
Il mio caporedattore, Guido, mi aveva telefonato.
- Ciao Francesco.
- Ehilà, ciao Guido...
- Senti Francesco, avrei un'idea carina...

Quando Guido ha un'idea, per me sono sempre cazzi.
L'ultima volta che ha avuto un'idea carina ho dovuto girare per mezza città, sotto Natale, per sentire da diverse agenzie di viaggi le mete più gettonate dal ferrarese tipo. Così incrociai le dita per questa ultima idea "carina".

- Dimmi pure...
- Ti andrebbe di recensire “La Casa del Boia”?
- …
- E' un lavoro molto interessante di una casa editrice locale, è un fumetto, lo hai per caso presente?
- No, direi di no...
- Be, quand'è che mi hai detto di avere l'esame all'università?
- Domani.
- Se ti faccio avere una copia del fumetto per giovedì mattina tipo verso le dieci, ci daresti un'occhiata? - Che, in gergo guidesco, vuol dire fammi la recensione.
- Si, ok, per quando...
- Ah, abbastanza presto, venerdì nel primissimo pomeriggio.
Neanche un giorno di tempo, era dura.
- Si,lo recensisco volentieri.
- Ottimo, ah senti...
- Dimmi...
- Molto probabilmente Giovedì mattina io non ci sono in redazione, comunque ti lascio il tutto dalla Robi. - la Roberta era la segretaria ventottenne strafiga ed efficiente della redazione.
- Va bene, non c'è problema.
- Benissimo allora.
- Ah Guido, da quanti caratteri lo vuoi?
- Direi il solito, per una recensione, un mille caratteri può andare bene.
- D'accordo, mille.
- Ok, bene Francesco, ti ringrazio e ci vediamo presto.
- Ok ciao...
- Ciao.

Bene.
L'esame domani mattina, lezione nel pomeriggio. Sarò a casa per le otto di sera. Giovedì mattina in Redazione. Giovedì pomeriggio leggere “La Casa del Boia” recensirlo. Spedirlo via mail a Guido per venerdì nel primissimo pomeriggio, lui arriva in redazione per le 3, quindi che se lo trovi già li.
Non male. Fanculo. Devo ammettere che la vita del giornalista mi piaceva.
Eccome.


venerdì 16 novembre 2012

1.So, So You Think You Can Tell

Ferrara 16 Novembre 2012. Notte

Ecco, da chissà dove sono saltati fuori questi stralci, queste schegge emozionali, sepolte nel mio pc da almeno undici anni.
Poche cose so per certo, una è che ero all'Università in questo periodo, due che c'era ancora la lira, e gli squillini con il cellulare si chiamavano "millecinque" perché un tempo questo era il costo dello scatto alla risposta. Cioè parliamo di Lire...troppo tempo fa. Tre c'era una ragazza, c'è sempre una ragazza, gente; sicuramente non si chiamava Cecilia, forse me lo ricordo anche come si chiamava se mi sforzo...Ma lasciamo stare, il suo nome non era importante, non lo era mai stato, era solo un fulgore di reazioni chimiche che si erano scatenate per un breve periodo di tempo nella mia vita, come sempre quando hai poco più di vent'anni. Perché rispolverarli? Perché no direi. Sono storie belle, che mi siano accadute davvero o no, sono storie di crescita, di cambiamento, di comprensione, un mio piccolo romanzo di formazione, mio? Beh direi di tutti, specialmente del mio protagonista Franz ( nome soggetto a modifiche). Dite che in me si può vedere Franz? Beh, gente, in ogni personaggio maschile o femminile che uno scrittore crea c'è sempre un po' di lui. Come ci ha insegnato Pessoa sono tutti nostri Eteronimi...
Perché tiro fuori queste schegge proprio ora?
Non c'è un motivo.
Certe volte arriva il momento, e dobbiamo seguirlo.
Quindi a quanto pare questo micro romanzo di formazione inizia così, di notte, mentre il nostro Franz è sveglio e non riesce a dormire...come spesso accade...

Quattro, beh già all'epoca avevo ottimi gusti musicali, scusate...cioè un romanzo di formazione che inizia con i Pink Floyd dove lo trovate!!
Scusate.
Enjoy.
 
 
 
1.“So, so you think you can tell”


Lunedì 15 Gennaio 2001. Notte.

Strano come una persona che hai conosciuto per la prima volta mesi addietro, d'un tratto, come se aspettasse proprio quel preciso momento, quello in cui ti manca un tassello del mosaico bizantino che stai componendo lentamente, quello in cui non vedi via d'uscita da una vecchia storia d'amore, ricompare; salta fuori da un luogo che chiamare limbo imprecisato non sarebbe un eufemismo e si presenta come una piacevole possibilità mai vagliata.
Mi rendo conto che dire “salta fuori” non è preciso poiché questa ragazza vive in un'altra città e da due settimane ci scambiamo SMS o “Millecinque”, squillini ogni singolo giorno, ed è strano proprio perché probabilmente, non la vedrò fino ad Agosto prossimo, e siamo a Gennaio, ma aspetto trepidante ogni giorno quel particolare squillo.
Uno squillo rapidissimo ma che contiene una freschezza ed una vivacità che nessuna mi ha mai trasmesso, ed è quantomeno strano poiché è solo un trillo, ma ti fa capire che quella particolare persona ti sta pensando proprio in quel particolare momento e a quella particolare ora.
Trovo affascinante l'intero mondo di possibilità e probabilità che uno squillo si porta dietro. Perché, viene da chiedersi, proprio in quell'istante lei ha preso in mano il suo Samsung, ha cercato il mio nome in rubrica sotto Franz, probabilmente, e ha premuto il tasto verde ok? Voleva salutarmi? Augurarmi buonanotte? Rispondere affermativamente ad una domanda mai posta, ma spesso cercata? Farmi sapere che mi stava pensando forse, o forse solo perché fuori c'era un vento freddo e cercava un po' di calore umano, o forse solo perché alla tv o alla radio qualcuno ha detto una frase che, magari, anche io avevo usato o che lei, in qualche modo, sentiva di potermi attribuire.
Chissà.
Basterebbe prolungare lo squillo, telefonarle, per chiederle come sta, ma così si romperebbe la magia dell'ignoto legata a quella particolare azione, un trillo di cellulare. Sarebbe, forse, rovinare tutto, e Dio solo sa quante altre cose ho rovinato in soli ventun'anni e mezzo, senza il bisogno di doverci aggiungere questa.
So che è difficile da capire ma uno squillo può essere qualsiasi cosa, e proprio la sua indefinibilità lo rende speciale, forse.
Da quando qualche settimana fa un mio amico mi ha dato quasi per scherzo il numero di Cecilia, la mia vita è sempre più strana ed io la osservo compiaciuto dall'esterno non immaginando minimamente dove mi porterà anche solo domani. L'unica piccola certezza è che ad un'imprecisata ora mi arriverà uno squillo ed io senza neanche guardare di chi è lo saprò; sarà suo, ed io lo capirò un secondo prima perché la stavo pensando.

Ho tante cose nella mia vita, ottimi amici, un ex-ragazza sempre più bella, tanto che ogni tanto mi rende allegramente insopportabile averla persa un giorno di qualche anno fa, ho una bella famiglia, con tanto di nipotini e gatto, ho un lavoretto part-time come giornalista, ho un libro di poesie che è appena uscito in libreria e che probabilmente non mi farà guadagnare nulla, ma mi dà un sacco di soddisfazione, ho almeno una dozzina di sogni nel cassetto, ho i corsi all'università, ho la fiducia di un po' di gente, ho la capacità di innamorarmi perdutamente di qualunque ragazza carina che io veda e dieci minuti dopo neanche ricordarmi di averla notata; ho una manciata di possibilità non sfruttate, di “se” e di “ma”, di “forse” e di treni non presi.

Mark Knopfler canta “something's going to happen to make your whole life better one day”, chissà se quel “day” è arrivato per me ?
Perché, vedete, ho questi tre assi in mano e non so come giocarmeli, ma li ho con me, nella manica, e già questo è molto. E poi forse sono un pazzo, un illuso, un testardo, un perdente chissà, non lo so ancora, dipende dalla carta che il futuro giocherà, se estrarrà l'asso di cuori io sarò fregato, perché è l'unico che mi manca e, sapete la regola no, “Come, Quando, Fuori, Piove”, Cuori, Quadri, Fiori, Picche, ma se giocherà un re di quadri, la partita sarà mia, perché ho l'asso.
Anche se poi tutto dipende dal tipo gioco, ovvio.

Avete ragione, mi serve uno strizzacervelli e uno buono anche, ma è notte fonda e sono felice perché Cecilia, mi ha appena squillato. Voleva solo augurarmi buonanotte o questa ora tarda c'era dell'altro nello squillo? Quien sabe.
Lo so, gente, che è una storia assurda, senza capo né coda, ma quando sento un suo squillo o leggo un suo SMS, ho davanti la sua immagine, chiara, definita, il modo in cui inclina la testa verso sinistra quando sorride e stringe gli occhi. E' indubbiamente carina, capelli castano chiari, occhi marroni, scuri, né alta né bassa, bel fisico e poi ha quella particolare freschezza nel comportarsi, nel muoversi che non saprei spiegarvi.
Ma, no, non vi preoccupate, non ne sono innamorato perso, è solo un qualcosa di ignoto ed inspiegabile che è capitato nella mia vita, e che non voglio perdere.
Potrebbe sembrare l'inizio di un romanzo, vero?
Magari anche di un film, una commedia con Tom Hanks e una qualche attrice dolce e carina, fidanzatina perfetta, tipo chessò Meg Ryan o Julia Roberts, oppure una canzone, o un meraviglioso dipinto di un impressionista francese, o magari un rapido ritratto a china o un bell'acquarello di un paesaggio fluviale o una foto in bianco e nero scattata sul pontile di legno di un qualche lago o una magnifica foto notturna in riva al mare con gli scogli.
O forse niente di tutto questo o, magari, tutto e di più.
Comunque sia era l'inverno 2001 e faceva un cazzo di freddo e la storia stava per cominciare.

giovedì 15 novembre 2012

...until the end of the world

Novembre 2008

"You, you said that you'll wait until the end of the world"

Cliffs of Moher. Le più imponenti scogliere della verde isola.

Dovevo tornarci, non potevo mancare all'appuntamento con il me stesso di due anni fa.
Con me oggi c'è lei, siamo in viaggio noi due soli. Certe sensazioni non sono mutate però, certo fa molto più freddo dell'estate di due anni fa, ho un berretto di lana e un maglione pesante a collo alto, il vento soffia come un dannato e lei si protegge con un' immensa sciarpa dai colori caldi. E' tarda mattinata, e le Cliffs hanno diversi visitatori, pullman e il Visitor Centre sulla destra diversi metri sotto la O'Brien's Tower. Dejà vu. Ci sono nuvole spumose oggi come la schiuma della Murphy ma c'è anche un sole coraggioso che fa capolino con i suoi raggi nel cielo chiaro autunnale. La sensazione di immensità provata con i ragazzi anni fa non è mutata, prendo la mano della mia ragazza e la conduco fino all'infinito davanti a noi. Se molte emozioni non sono cambiate altre cose invece si sono evolute per le Cliffs in due anni. C'è molta più sorveglianza, un qualche corpo di ranger delle scogliere. Il tuffo al cuore è vedere che sono state erette delle barriere di pietra alte circa cinquanta centimetri che rendono impossibile raggiungere il limitare della scogliere sull'infinito. Difficile ora essere un tutt'uno con la vastità di fronte a noi. Lei è estasiata dalla vista, è una delle cose più belle che abbia mai visto mi dice, il sole squarcia le nuvole e le illumina gli occhi scuri che brillano, la guardo e sorrido, e alla fine mi rendo conto che sono felice, e che tutto cambia per una ragione. Ora ho le risposte, quell'oceano, quel cielo e quel sole me le hanno già date. Passeggiamo ancora un po' fino a che non vedo sul sentiero tra diverse barriere di pietra il cartello rosso scuro che vieta di andare oltre quel punto per la sicurezza del visitatore. Oltre quel punto c'era la nostra buca. Lei mi legge dentro e mi dice che mi aspetta qui, che posso andare tranquillo a cercare quello che io e i ragazzi ci siamo lasciati alle spalle. Scavalco la barriera e proseguo sul sentiero. Tutto è uguale e tutto è diverso allo stesso tempo, la terra è più smossa, c'è più verde, erba troppo alta che non mi permette di trovare la buca. Cerco per almeno mezz'ora, avanti e indietro. Inutile, la buca non c'è più. O meglio nel profondo dell'animo so che c'è ma non so dove. Forse per ogni cosa c'è un tempo, un momento preciso in cui ti viene di-svelata, in cui ricompare, e probabilmente non è questo. Sorrido tra me e me, e poi saluto con un cenno del capo l'oceano davanti a me.
Alla fine di questo sentiero, tornando indietro, mi aspetta lei, e questo è tutto quello che conta.
Non è educato farla aspettare ancora, non credete?





...all that you can't leave behind

The only baggage you can bring is all that you can't leave behind”

Giugno 2006

Irlanda. Cliffs of Moher. Le più imponenti scogliere della verde isola.

I tre amici sono a metà del viaggio, sei giorni su dodici.
E' simbolico che proprio in un incredibile giorno soleggiato siano arrivati esattamente qui, in uno dei luoghi più mozzafiato della selvaggia Irlanda occidentale. Hanno depositato i bagagli nell'accogliente bed and breakfast Gleasha Meadows nella vicina e colorata cittadina di Doolin, classico punto di partenza per le ancestrali Isole Aran.
Pochi chilometri e fermano la macchina nell'ampio parcheggio del Visitor Centre delle Cliffs. Poche nuvole bianche in cielo come i barbigli di un vecchio Fortuna-drago e un brillante sole che fa risplendere di luce propria lo splendente oceano atlantico. E' tardo pomeriggio ma c'è abbastanza gente, non potrebbe essere altrimenti, diversi pullman, comitive di turisti. I tre amici li evitano sistematicamente, non vogliono che le loro sensazioni siano contaminate dalla confusione e rapidamente guadagnano le scogliere, si tirano sulla testa i cappucci delle felpe o dei k-way e si immergono nella meraviglia più assoluta.
Il vento è forte quasi da spostarli di peso, il verde litorale è spezzato da queste imponenti “sculture” naturali in strati di vari colori formati per il sovrapporsi di scisti e arenarie popolati da gabbiani, corvi, garze marine. Con la vittoriana O'Brien's Tower sulla loro destra i tre amici si spingono fino al limite delle scogliere, camminano piano perché il vento è fortissimo lassù e anche per godere appieno del tutto che si di-svela davanti ai loro increduli occhi. Si fermano a pochi passi dal salto di duecento metri che precipita nell'oceano. Si siedono uno vicino all'altro, i jeans sfregano sulla nuda pietra.
Quello che puoi vedere da lassù è il mondo, l’infinito. La pulsante distesa di acqua che si estende a perdita d'occhio, che spinge lo sguardo e l'anima oltre il limite fisico a cui tutti siamo abituati. Non c'è nulla di più, i problemi sono rimasti a casa in un altro mondo, forse uno di loro pensa che sarebbe bello portarci la sua compagna, anche l'altro lo pensa, ma non sa se crederci davvero, e l'ultimo pensa e basta, riflette su tutto, davanti a lui l'infinito, l'ignoto, squarci di un futuro appena accennato in quell'immenso oceano di risposte.

Cosa devono aver pensato i primi uomini che sono giunti qui?” si domanda il secondo.

L’immensità che guardi non sarebbe nulla senza qualcuno a guardarla” cita il primo.

Noi siamo l’altro cinquanta per cento dell’immensità, giusto?” chiosa l'ultimo quello che cerca risposte.

Forse hanno pensato davvero questo, forse gli esploratori di queste terre hanno scoperto che prima bisogna essere esploratori del proprio animo.
Il sole sta quasi per immergersi nell'oceano, il tempo è passato senza che i tre amici ne avessero la percezione, prima di andare, come tributo a questo luogo dell'anima, compiono un antico rituale indiano. Bisogna sempre lasciare qualcosa di proprio , di importante, un pezzo del nostro essere, al luogo che in cambio ti ha dato tanto di se stesso. Qualcosa che hai portato con te fino a qui come un bagaglio del passato, qualcosa che ha segnato una parte della tua vita, nella speranza magari di ritornare e trovare il “te stesso” passato e vedere cosa è cambiato negli anni.

In una buca piccola in un punto imprecisato delle Cliffs of Moher, oltre un cartello di divieto di proseguire, lasciano tre oggetti. Una foto, un tesserino scaduto e una preghiera.



15/11/'12

...Back on the Saddle

Erano circa dieci anni, anche di più, che cercavo di dare il nome Albero di Joshua a qualcosa. Anzi ora, pensandoci bene, era dal Liceo che volevo chiamare qualcosa così.
Non sono mai riuscito ad accontentar me stesso, a darmi la possibilità di usare questo nome che richiama direttamente un album degli U2, forse uno dei più belli.
Ma in questo caso non si parla di musica, o meglio, non si parlerà solo di musica. Mi piaceva il concetto dietro il nome Albero di Joshua. Un arbusto che resiste a tutto, nasce nel deserto, e tiene botta, sempre e comunque, nonostante tutto, nonostante tutti. Ecco ultimamente mi sento molto affine a questo concetto, molto di più di quello che sarei stato al liceo, o all'università o anche solo otto anni fa.
Si, l'Albero di Joshua non è mica per tutti, devi guadagnartelo. Non sempre sei pronto per usarlo, ma quando il momento arriva lo capisci e quest'imamgine, quest'idea di resistenza, di forza, di determinazione e, perché no, di testardaggine ti calzerà.
Bene, quel momento è ora.
Springsteen diceva "If you're rough enough for love, baby I'm tougher than the rest", e come spesso gli accade aveva stramaledettamente ragione.
Bene. Ora sono qui, perciò, in guardia, non ci sono più scuse ora, eccomi qui a 360 gradi.
L'Albero di Joshua tiene duro, ora.

See ya up the road..